Come anticipato nello scritto su “Poteri di autotutela della pubblica amministrazione e illeciti edilizi” pubblicato su questa rivista il 15 luglio scorso, la legge delega per la riforma della p.A., che, per uno strano ritorno dei numeri e delle date, è stata approvata il 7 agosto (2015) con il n. 124, è intervenuta direttamente, con efficacia dal 28 agosto scorso, su alcune disposizioni chiave della l. 7 agosto 1990 n. 241. In particolare, proseguendo nel percorso più timidamente avviato (con riferimento alla s.c.i.a. e alla revoca) dalle c.d. norme "sblocca Italia", la riforma ha prestato particolare attenzione al regime dell’autotutela, cercando un difficile contemperamento tra l’esigenza di assicurare il rispetto della legalità e quella di garantire gli operatori e, soprattutto, gli investitori, della stabilità dei titoli di abilitazione all'esercizio di attività economiche e, in termini più generali, al godimento di benefici. Raccogliendo le sollecitazioni di chi, già da tempo, aveva denunciato i rischi derivanti dalla scarsa garanzia di stabilità dei c.d. strumenti di semplificazione del sistema autorizzatorio e recependo buona parte delle proposte richiamate nelle citate “Riflessioni”, la legge è reintervenuta specificamente anche sul regime della s.c.i.a. e del silenzio-assenso sui procedimenti a istanza di parte, eliminando alcune, gravi, contraddizioni della relativa disciplina nella l. n. 241 del 1990 (in particolare, il grave regime sanzionatorio previsto dall'art. 21, comma 2, e l’illogico richiamo, nell'art. 19, agli artt. 21-quinquies e 21-nonies - relativi a provvedimenti di secondo grado - in riferimento a titoli fondati su atti di diritto privato). Per un quadro più completo del nuovo sistema, si ricorda che la l. 11 novembre n. 164 (di conversione del d.l. 11 settembre 2014 n. 133, c.d. decreto “sblocca Italia”) ha circoscritto il potere di revoca disciplinato dall’art. 21-quinquies l. n. 241/1990 (introdotto a sua volta dalla riforma del 2005), chiarendone l’utilizzabilità soltanto nei confronti di atti ad efficacia durevole e subordinandone l’esercizio a condizioni più rigorose. Fermo l’obbligo di indennizzo, nel nuovo testo della disposizione, i provvedimenti amministrativi possono essere invero revocati, fuori dai “classici” “sopravvenuti motivi di pubblico interesse”, in caso di mutamento della situazione di fatto, soltanto se esso non era “prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento”, mentre la revoca per nuova valutazione dell'interesse pubblico originario è comunque esclusa per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici. Restava peraltro illogicamente confermato il dibattuto co. 1-bis, che (oltre a fare irragionevole riferimento alla revoca di atti “ad efficacia durevole o istantanea”), applicando all’istituto concetti e principi che più correttamente attengono alla categoria dell'annullamento, nel limitare l’indennizzo per la revoca incidente su rapporti negoziali al mero danno emergente, impone di tener conto “sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico”. Nonostante le ripetute sollecitazioni in tal senso, la l. n. 124 ha perso un'importante occasione per eliminare la disposizione, che, vieppiù alla luce del nuovo regime dell'annullamento, rischia di creare elementi di grave incertezza. L'effettività delle regole che disciplinano i confini del potere amministrativo presuppone invero la chiarezza e il rispetto di quelli delle categorie provvedimentali e la conseguente valutazione (della legittimità) degli atti alla stregua del loro contenuto sostanziale, quale che ne sia la qualificazione formale (chiarissimo, in tal senso, l'insegnamento della CEDU in tema di individuazione delle sanzioni alla stregua dei c.d. Engel criteria, ma anche la consolidata giurisprudenza interna sull'irrilevanza del nomen ai fini della applicazione delle regole dell'una o dell'altra tipologia giuridica, confermata dalla sentenza n. 14 del 2014 dell'Adunanza plenaria a proposito della necessaria distinzione tra revoca e recesso). In quest'ottica devono essere, evidentemente, lette e applicate, pena la violazione dei principi costituzionali e euro-unitari di buona amministrazione e certezza del diritto, anche le nuove disposizioni in vigore dal 28 agosto 2015... (segue)
18 giugno 2013 CAMBIA LA VITA NEL CONDOMINIO UNISCITI A NOI IN DIFESA DEI DIRITTI DEI CONDOMINI
18 giugno 2013 CAMBIA LA VITA NEL CONDOMINIO UNISCITI A NOI IN DIFESA DEI DIRITTI DEI CONDOMINI
mercoledì 16 settembre 2015
sabato 12 settembre 2015
Il fisco non risponde dopo 220 giorni? Si può annullare la cartella
Novità in materia fiscale per quanti sono finiti nel mirino dell'Agenzia delle Entrate. Se la cartella esattoriale o qualsiasi altro atto di Equitalia è illegittimo il contribuente può fare una semplice istanza e se non ottiene risposta entro 220 giorni il debito si annulla definitivamente. Lo ha stabilito la Commissione Tributaria Provinciale di Milano
Se la cartella esattoriale o qualsiasi altro atto di Equitalia è illegittimo il contribuente può fare una semplice istanza e se non ottiene risposta entro 220 giorni il debito si annulla definitivamente. Ciò è quanto stabilito da una innovativa sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la quale ha provveduto ad annullare una serie di cartelle esattoriali a carico di un imprenditore lombardo per centinaia di migliaia di euro affermando sostanzialmente l’esistenza del diritto all’annullamento del debito tributario per silenzio/assenso a seguito della mancata risposta dell’Agenzia delle Entrate all’istanza del contribuente (si veda sentenza n.5667/40/15 depositata il 23/06/2015, presidente dott. Pier Camillo Davigo, liberamente visibile su www.studiolegalesances.it – sezione Documenti).
Tutto ha origine da alcune disposizioni emanate con la Finanziaria del 2013 (legge n.228/2012); in pratica, la norma prevede che entro novanta giorni dalla notifica di un qualsiasi atto da parte del concessionario della riscossione, il contribuente possa fermare tale azione con una semplice istanza. Al fine di comprendere meglio la portata della norma, si consiglia di leggere l’articolo 1, comma 537, della legge n.228/2012 laddove prevede espressamente che i “concessionari per la riscossione sono tenuti a sospendere immediatamente ogni ulteriore iniziativa finalizzata alla riscossione delle somme iscritte a ruolo o affidate, su presentazione di una dichiarazione da parte del debitore…”.
A seguito del deposito della dichiarazione al concessionario, dunque, quest’ultimo è tenuto ad avvisare l’ente competente – che potrebbe essere, ad esempio, l’Inps per i contributi previdenziali, l’Agenzia delle Entrate per i tributi, gli enti locali per le sanzioni amministrative, etc… – il quale a sua volta deve rispondere al contribuente (comma 539). Ovviamente, come già anticipato, la parte più importante della norma è sicuramente quella che stabilisce le conseguenze derivanti dalla mancata risposta dell’ente impositore. Infatti, il comma 540 prevede che “trascorso inutilmente il termine di duecentoventi giorni dalla data di presentazione della dichiarazione del debitore allo stesso concessionario della riscossione, le partite … sono annullate di diritto…”.
Proprio in forza delle predette norme, i giudici di Milano non hanno potuto fare altro che constatare la mancata risposta dell’Agenzia delle Entrate di Milano e dunque accertare l’annullamento del debito tributario.
Nello specifico, infatti, i giudici dichiarano “Gli atti emessi dall’Ufficio risultano illegittimi per la mancata risposta dell’Agenzia delle Entrate alle istanze di annullamento proposte dal ricorrente. Il contribuente, come evidenziato nel ricorso introduttivo, ha lamentato la mancata risposta dell’ente impositore alle due istanze presentate ai sensi dell’art. 1, commi 537 e seguenti della legge n.228/2012” (pagina 2 della sentenza). Ci si augura, dunque, che tale pronuncia possa contribuire a creare un nuovo clima di collaborazione tra Fisco e contribuente, soprattutto in virtù del fatto che l’inerzia del Fisco può creare gravi conseguenze alle casse dell’Erario.
Tutto ha origine da alcune disposizioni emanate con la Finanziaria del 2013 (legge n.228/2012); in pratica, la norma prevede che entro novanta giorni dalla notifica di un qualsiasi atto da parte del concessionario della riscossione, il contribuente possa fermare tale azione con una semplice istanza. Al fine di comprendere meglio la portata della norma, si consiglia di leggere l’articolo 1, comma 537, della legge n.228/2012 laddove prevede espressamente che i “concessionari per la riscossione sono tenuti a sospendere immediatamente ogni ulteriore iniziativa finalizzata alla riscossione delle somme iscritte a ruolo o affidate, su presentazione di una dichiarazione da parte del debitore…”.
A seguito del deposito della dichiarazione al concessionario, dunque, quest’ultimo è tenuto ad avvisare l’ente competente – che potrebbe essere, ad esempio, l’Inps per i contributi previdenziali, l’Agenzia delle Entrate per i tributi, gli enti locali per le sanzioni amministrative, etc… – il quale a sua volta deve rispondere al contribuente (comma 539). Ovviamente, come già anticipato, la parte più importante della norma è sicuramente quella che stabilisce le conseguenze derivanti dalla mancata risposta dell’ente impositore. Infatti, il comma 540 prevede che “trascorso inutilmente il termine di duecentoventi giorni dalla data di presentazione della dichiarazione del debitore allo stesso concessionario della riscossione, le partite … sono annullate di diritto…”.
Proprio in forza delle predette norme, i giudici di Milano non hanno potuto fare altro che constatare la mancata risposta dell’Agenzia delle Entrate di Milano e dunque accertare l’annullamento del debito tributario.
Nello specifico, infatti, i giudici dichiarano “Gli atti emessi dall’Ufficio risultano illegittimi per la mancata risposta dell’Agenzia delle Entrate alle istanze di annullamento proposte dal ricorrente. Il contribuente, come evidenziato nel ricorso introduttivo, ha lamentato la mancata risposta dell’ente impositore alle due istanze presentate ai sensi dell’art. 1, commi 537 e seguenti della legge n.228/2012” (pagina 2 della sentenza). Ci si augura, dunque, che tale pronuncia possa contribuire a creare un nuovo clima di collaborazione tra Fisco e contribuente, soprattutto in virtù del fatto che l’inerzia del Fisco può creare gravi conseguenze alle casse dell’Erario.
FONTE http://www.affaritaliani.it/
martedì 8 settembre 2015
TASI abolizione e risparmi
Abolizione TASI in Italia anche senza il placet UE: Renzi conferma l'addio alla tassa dal 2016, mentre arrivano i calcoli sui risparmi
Nonostante la UE non
approvi il progetto del Governo italiano di abolizione TASI sulle
prime case (quelle non di lusso), ritenendola poco efficace in un’ottica di
crescita, il premier Matteo Renzi tuttavia non cambia
programmi e rimanda al mittente le dichiarazioni di scetticismo:
«Le tasse le abbassiamo da soli, non ce
lo facciamo dire da Bruxelles cosa tagliare o no».
Anche il
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega agli
affari europei, Sandro Gozi, fa notare:
«Il Governo italiano presieduto da
Matteo Renzi ha tutta l’autorevolezza e la credibilità in Europa per proseguire
in piena autonomia il percorso riformatore e, quindi, anche le modalità con cui
decidere la riforma del fisco e il taglio delle tasse che, è evidente a tutti,
sono molto, anzi troppo, alte nel nostro Paese».
Così l’Esecutivo si
prepara a predisporre entro il 20 settembre il Documento di
Economia e Finanza (DEF) con la stima delle spese sulla base delle quali
verrà poi costruita la prossimaLegge
di Stabilità 2016, nella quale si prevede che venga inserita
anche l’abolizione dellaTASI sulle prime
case non di lusso.
Abolizione TASI: i risparmi
L’Ufficio studi della
CGIA di Mestre valuta un risparmio medio per le famiglie italiane
(che sono 19 milioni) di 204 euro. Per le abitazioni di
categoria A2 le minori tasse saranno pari a 227 euro l’anno, per quelle A3 a
120 euro. Volendo ipotizzare anche l’abolizione TASI per quelle signorili
o ville, il risparmio sarebbe di ben 1.830 euro, mentre per i castelli di 2.280
euro. Se il Governo abolisse anche l’IMU sugli immobili di
lusso il risparmio sarebbe di circa 2.000 euro.
FONTE PMI:
giovedì 3 settembre 2015
Regolamento Edilizio: i titoli abilitativi per costruire o ristrutturare
Dopo
15 anni il Comune di Milano ha adottato il nuovo Regolamento Edilizio che
definisce le caratteristiche e i requisiti tecnici che devono avere gli
immobili da costruire o ristrutturare, nonché i titoli abilitativi necessari
per iniziare i lavori.
La
costruzione o ristrutturazione di un immobile richiede il rispetto di requisiti
tecnici che sono definiti localmente con ilRegolamento Edilizio.
Dopo 15 anni il Comune di Milano ha adottato un nuovo Regolamento in vigore dal
26 novembre scorso, le cui disposizioni si applicano a tutti i titoli edilizi
(permessi di costruire, DIA, SCIA, Comunicazioni di Inizio Lavori) seguenti a
questa data. Le disposizioni del vecchio Regolamento edilizio del 1999,
invece, continuano ad applicarsi alle varianti apportate ai titoli già validi
ed efficaci, all’istruttoria e al successivo rilascio di titoli edilizi
relativi a istanze protocollate prima dell’entrata in vigore delle nuove
disposizioni, nonché alle pratiche ricadenti nell’ambito di applicazione delle
norme transitorie del PGT (Piano di Governo del Territorio). Ma quando
occorre presentare la S.C.I.A., la D.I.A. e il Permesso di Costruire secondo quando
disposto nel nuovo RE di Milano? Innanzitutto occorre precisare che nel
nuovo Regolamento, il Comune meneghino ha fatto una distinzione tra interventi
edilizi minori e interventi edilizi maggiori.
Rientrano
negli interventi
edilizi minori:
§
manutenzione ordinaria;
§
manutenzione straordinaria;
§
restauro e risanamento conservativo;
§
demolizione, ove richiesta come
intervento autonomo;
§
realizzazione dei parcheggi
pertinenziali;
§
costruzione dei manufatti provvisori
per lo sport;
§
interventi di rimozione
dell’amianto;
§
interventi in materia energetica (ad
esempio realizzazione impianto fotovoltaico o solare termico non connessi ad
altre opere);
§
interventi in materia di verde.
Sono
invece compresi negli interventi
edilizi maggiori:
§
ristrutturazione edilizia;
§
sostituzione edilizia (demolizione e
ricostruzione con la stessa superficie lorda complessiva del preesistente);
§
nuova costruzione;
§
ristrutturazione urbanistica.
Per realizzare questi interventi è
necessario dotarsi di permessi specifici. Vediamo nei dettagli quali sono.
Innanzitutto
si precisa che vi sono alcuni interventi
edilizi liberi, che non necessitano di titoli
abilitativi o preventive comunicazioni (art. 6, comma 1, del D.P.R. 380/2001).
L’attività edilizia libera comprende gli interventi di manutenzione ordinaria e
quelli volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la
realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino
la sagoma dell’edificio.
Interventi edilizi minori
Non
necessitano di titolo abilitativo ma solo di una Comunicazione Inizio Attività Edilizia Libera
(C.I.A.L.)all’amministrazione comunale gli
interventi di manutenzione straordinaria, compresa l’apertura di porte interne
o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti
strutturali dell’edificio. I lavori possono partire immediatamente e concludersi
entro 3 anni dalla presentazione della C.I.A.L. corredata da una relazione
tecnica a firma di un professionista abilitato, il quale assevera, sotto la
propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici
approvati, ai regolamenti edilizi vigenti. Nella C.I.A.L. vanno inoltre
indicati i dati identificativi dell’impresa alla quale si intende affidare i
lavori.
Nel
caso di opere di restauro/risanamento conservativo o interventi di manutenzione
straordinaria che comportano rinnovi e/o sostituzione di parti strutturali
degli edifici, nonché contestuali modifiche di destinazioni d’uso con aggravio
di dotazione di servizi o comunque non rientranti nell’attività edilizia
libera, per eseguirle occorre presentare la S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di Inizio
Attività), anche a mezzo posta con raccomandata e
avviso di ricevimento. La segnalazione certificata di inizio attività è
sottoposta al termine massimo di efficacia di tre anni dalla data della
presentazione e il soggetto interessato è tenuto a comunicare anche la data di
ultimazione dei lavori.
Interventi edilizi maggiori
Nel
caso di nuova costruzione e ampliamento, ristrutturazione edilizia con
demolizione e ricostruzione con la stessa superficie preesistente, o anche
senza demolizione e ricostruzione, restauro e risanamento conservativo è
necessario presentare laDenuncia
di Inizio Attività (D.I.A.). I lavori potranno
essere intrapresi decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della
Denuncia ed entro un anno dalla data di efficacia, a pena di decadenza della
DIA stessa. I lavori devono essere ultimati entro tre anni dall’inizio dei
lavori, fatta salva diversa disposizione di Legge. La realizzazione della parte
di intervento non ultimata nel predetto termine è subordinata a nuova denuncia,
in quanto non è prevista dalla normativa la proroga alla DIA.
Gli
interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia invece sono subordinati al
rilascio del Permesso
di Costruire. Come si specifica nel nuovo Regolamento
Edilizio di Milano, i lavori possono iniziare dal giorno in cui viene
rilasciato il Permesso da parte del Comune, anche per silenzio assenso, e
comunque entro un anno da tale data. I lavori però devono concludersi entro tre
anni dal rilascio o silenzio assenso.
fonte http://www.cosedicasa.com/regolamento-edilizio-i-titoli-abilitativi-per-costruire-o-ristrutturare-72623/
fonte http://www.cosedicasa.com/regolamento-edilizio-i-titoli-abilitativi-per-costruire-o-ristrutturare-72623/
Iscriviti a:
Post (Atom)