A giugno il Comune ha pubblicato un registro speciale che contiene 160 immobili privati in degrado. Così Palazzo Marino cerca di accelerarne la rinascita, alla viglia di Expo
(Il Ghirlandaio) Milano, 22 ago -Nel centro città sono molto più numerosi di quanto si possa immaginare. Pensate allora di quanti ruderi siano costellate le strade meno centrali di Milano, e ancor più quelle di periferia. Ruderi che sono spesso a cielo aperto e senza protezioni adeguate, altre volte invece sbarrati o, comunque, più difficilmente accessibili. Situazioni complesse per i residenti, che in alcuni casi si battono da anni per vedere la fine di un degrado che ha come protagonisti edifici o aree rurali di proprietà privata, inutilizzati da tempo.Palazzo Marino ha fatto così un primo passo verso la soluzione: ha istituito e pubblicato online ilregistro degli immobili abbandonati, circa 160 disseminati in tutte le nove zone della città. L'iniziativa, lanciata lo scorso giugno, sembra già aver imboccato la strada giusta. “C'è gente che ci sta chiamando per inserirne degli altri (immobili abbandonati, n.d.r.) e stiamo anche avendo la reazione che ci aspettavamo, cioè di attivazione da parte delle proprietà” ha detto al Ghirlandaio la vicesindaco e assessore all'urbanistica Ada Lucia De Cesaris. “Man mano che partiranno degli interventi e che ci saranno delle volontà di recupero e di rigenerazione, daremo spazio e pubblicità anche a questo. Il nostro obiettivo non è punire, ma spingere affinché le proprietà intervengano per ridare qualità alla città e rimettere in uso spazi di cui la città ha bisogno”.
Ma se i proprietari non interverranno, soprattutto dopo aver ricevuto le lettere di diffida, l'amministrazione comunale potrebbe mettere in pratica uno degli articoli del nuovo regolamento edilizio e deciderne la riconversione in immobile pubblico. Certo è che gli interventi sono necessari e anche in tempi rapidi, non solo in vista di Expo. Quando ci si allontana dal centro, gli spazi abbandonati si fanno, naturalmente, più numerosi. Sono soprattutto immobili industriali di cui pullula, tanto per cominciare, la zona sud, dove continua la seconda tappa del viaggio del Ghirlandaio: molte ex fabbriche, alcune meno note, alcune invece molto famose. Come la ex Plasmon, nell'ultimo tratto di quella via Cadolini, a venti minuti a piedi da Porta Romana, dove si contano anche altre realtà ben più tormentate. Poco dopo l'edificio della ex Plasmon, dismessa vent'anni fa, via Cadolini incrocia via Verne. Questo luogo, indicato nel registro del Comune come “area in zona industriale artigianale”, si è trasformato negli ultimi anni in una brutta discarica di qualsiasi rifiuto, oltre che in un rifugio per senzatetto e nomadi, sgomberato spesso dalla polizia.
Da qui, il percorso che vi può portare alla scoperta dei molti immobili abbandonati può proseguire verso est, dopo aver incrociato l'area di via Maspero, vicino al tormentato mercato ortofrutticolo. Da lì si procede verso via Mecenate, facendo una pausa davanti allo scheletro di via Malipiero, una mancata (e travagliata) residenza universitaria finanziata già dalla Regione. A un passo da lì, nella stessa via, c'è lo spazio un tempo occupato da Bodeguita Social e, qualche metro più in là, quello in cui avrebbe dovuto sorgere una seconda residenza universitaria, nella via Quintiliano dove rimangono gli spazi inutilizzati di un'azienda di trasporti. Se ci si immette poi in via Mecenate, la vostra ricerca di spazi abbandonati vi obbligherà a fermarvi spesso. Al numero 84 si estende un ex complesso industriale, con capannoni e uffici, a ridosso di un'area che è invece tornata a vivere grazie alla riconversione di storici spazi industriali come gli East End Studios.
Esattamente di fronte si estende un'area che raccoglie numerosi edifici in disuso, tra il numero 77 e il 93: tra gli altri, i i vecchi uffici della Fabbri Editore. A questi vanno aggiunti gli spazi in degrado di via Fantoli 3, anch'essi un tempo uffici. Spostandoci più a sud, tra la costellazione di ruderi che s'incontrano basti citare le baracche di via Bonfadini, case di rom più volte sgomberate (e che ricordano vicende simili a quelle del campo abusivo di via Forlanini), e l'ex area Pirelli di via dei Pestagalli. Numerose zone in degrado anche tra i quartieri Rogoredo e Corvetto: dalla cosiddetta cascina Palma al parcheggio sotterraneo di via Gaggia, di fianco a un'area anch'essa in stato di degrado.
Nel risalire da piazzale Corvetto a piazzale Lodi, chi abita nella zona ricorda sicuramente l'immobile di via Oglio che sorge a lato degli uffici comunali, a pochi passi dalla metropolitana gialla di Brenta. Da lì, il vostro percorso può procedere verso ovest. In via Riva di Trento il verde incolto ha ormai occupato tutta l'area, un tempo uffici. È questa l'anticamera di una serie di spazi che da lì sono disseminati in tutto il quartiere, dalla vocazione industriale. Più d'uno gli edifici abbandonati nelle traverse di via Marco D'Agrate e via Quaranta, che sbocca direttamente sulla più famosa via Ripamonti. Qui, la cassetta delle lettere dell'immobile residenziale al numero 139, dalla quale perennemente fuoriescono volantini pubblicitari, è il biglietto da visita di un edificio davanti a cui passano centinaia di milanesi (e non) ogni giorno. Un tratto di strada tristemente noto anche perché proprio accanto c'è un altro immobile, vicino a cui non ci si sente affatto a proprio agio a causa dello stato di avanzato deterioramento dell'edificio.
E infine, ritornando verso il centro la tappa d'obbligo è ancora una volta in via Ripamonti, all'ex Provveditorato agli Studi che in molti ricordano bene. Sia perché, nell'immaginario collettivo, è diventato il (brutto) simbolo dei mali della scuola, sia perché è stato teatro di occupazioni e proteste da quando, sette anni fa, è stato abbandonato. Di quelle mobilitazioni è rimasta la grande scritta “9000 m2”: cioè i metri quadrati rimasti vuoti e tuttora di proprietà dell'Enpam, l'Ente nazionale di previdenza dei medici.
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